Canone buddista tibetano

Blocchi in legno per la stampa xilografica del Canone buddista tibetano predisposti nel XVIII secolo, in una foto del 1948 del monastero di Nartang. Questo tesoro culturale tibetano è andato distrutto negli anni '60 del XX secolo durante la Rivoluzione culturale avviata dal Partito Comunista Cinese.
Blocchi del Canone buddista tibetano conservati presso il monastero di Riwoche, Tibet.

Con l'espressione Canone buddista tibetano, o Canone tibetano, si indica, negli studi buddisti, l'insieme di due raccolte di testi propri della letteratura buddista canonica in lingua tibetana e che corrispondono a:

  • il bKa’-’gyur (nella grafia tibetana: བཀའ་འགྱུར; reso anche come Kangyur o Kanjur; lett. "[La raccolta delle] parole tradotte [del Buddha]");
  • il bsTan-’gyur (nella grafia tibetana: བསྟན་འགྱུར; reso anche come Tangyur o Tanjur; lett. "[La raccolta dei] commentari tradotti").

Il Canone tibetano è quindi l'opera che raccoglie i sūtra (མདོ, mdo), i tantra (རྒྱུད, rgyud), i śāstra (བསྟན་བཆོས, bstan bcos), il vinaya (འདུལ་བ།, 'dul ba) e in generale le scritture buddiste, tradotte in lingua tibetana e ritenute importanti per la tradizione del Buddismo Vajrayāna in Tibet.

Il Canone tibetano si è sostanzialmente formato dall'VIII al XIII secolo, assumendo una sua prima edizione definitiva grazie al dotto poligrafo e bla-ma (བླ་མ) del XIV secolo Bu-ston rin-chen grub ( བུ་སྟོན་རིན་ཆེན་གྲུབ་, anche Butön Rinchen Drup, 1290-1364). Complessivamente esso si compone di oltre trecento volumi comprendenti circa quattromila opere tradotte dal sanscrito, dal pracrito, dallo apabhraṃśa, dal cinese e da lingue centroasiatiche, ma si compone anche di commentari redatti direttamente in lingua tibetana[1].

  1. ^ Prats, p. 178

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